Roma, 11 Gennaio 2007
Dopo sedici anni e mezzo gli inquirenti romani potrebbero avere il nome dell'assassino di Simonetta Cesaroni, la ragazza di 19 anni, uccisa con 29 coltellate il 7 Agosto del 1990 in via Carlo Poma. Il codice genetico isolato dai carabinieri del Ris sul reggiseno della vittima sarebbe di tipo maschile e potrebbe essere riconducibile al Dna di uno tra le 31 persone ascoltate dagli inqirenti negli ultimi tempi. Secondo la trasmissione di Enrico Mentana, Matrix , si tratterrebbe- di un uomo vicino, all'epoca dei fatti, a Simonetta, e sicuramente sfiorato dalle indagini ma non coinvolto direttamente. A questo risultato - è stato precisato nel corso della trasmissione - gli esperti del Ris sarebbero arrivati attraverso la comparazione di una traccia di saliva lasciata tramite un morso, e isolata dall'indumento di Simonetta. Quest'ultimo elemento sarebbe stato prelevato da una tazzina di caffè.
Ma facciamo un salto indietro di qualche anno: il portoncino degli uffici dell'Associazione italiana ostelli della gioventù, terzo piano, scala B, di via Carlo Poma 2, viene chiuso con quattro mandate di chiave dopo le 18,30 del 7 Agosto 1990, e nasconde il cadavere di una ragazzina di ventun'anni uccisa mentre sta lavorando. In quindici anni sono stati fatti sopralluoghi, indagini, ipotesi ed illazioni, castelli con le carte e montagne con i faldoni dell'inchiesta, accuse e smentite, ma non si è mai scoperto chi si sia messo in tasca la chiave di quella porta, e perché abbia colpito. Il cadavere di Simonetta Cesaroni, dipendente della Reli Sas, viene ritrovato alle 23,30 di quello stesso giorno dalla sorella Paola, accompagnata dal fidanzato, e da Salvatore Volponi, datore di lavoro della ragazza, l'uomo che l'aveva mandata temporaneamente a via Poma, fuori dall'orario di servizio, "prestandola" all'Associazione ostelli; è per questo che Simonetta è sola in quell'appartamento, in quello che dovrebbe essere l' ultimo giorno di lavoro e che invece si trasforma nell'ultimo della sua vita. I tre sono andati a controllare perché allarmati dai genitori di Simonetta, che non l'avevano vista rientrare. Nel momento in cui quella porta viene aperta escono, come dal vaso di Pandora, dubbi ed interrogativi a non finire, molti dei quali ancora non hanno trovato una risposta. E' Volponi a ritrovare il cadavere, dopo un veloce giro dell'appartamento (primo quesito: Volponi, durante ogni interrogatorio, ha sempre affermato di non essersi mai recato prima in quegli uffici; perché allora per farsi aprire aveva detto alla moglie del portiere "Signora, si ricorda di me?"). Simonetta è distesa a terra con le gambe divaricate, nuda ad eccezione di una canottiera di seta, il reggiseno arrotolato al collo ed un paio di calzini ai piedi, ma il medico legale potrà accertare che non ha subìto violenza sessuale: l'assassino, però, ha infierito sul suo corpo con ferocia, ventinove coltellate profonde undici centimetri, graffi e morsi. Ed è stato proprio un accanirsi contro un cadavere, forse un depistaggio, perché Simonetta è morta per un trauma cranico dopo aver lottato per tutta la casa (era agosto, Roma era semideserta, ma com'è possibile che nessuno, nel palazzo, abbia sentito qualcosa?). Per il resto, l'appartamento è in ordine, pulito del sangue, gli stracci sciacquati e stesi nel bagno, un fermacarte, molto probabilmente l'arma con cui Simonetta è stata massacrata, pulito anch'esso e rimesso al suo posto sulla scrivania ( quel fermacarte, tanto per la cronaca, non fu mai analizzato). Subito Volponi chiama il 113, e dopo poco giungono sul posto tali Sergio Costa, vicequestore, e l'ispettore Gianni Pitzalis; sono i primi, tra le forze dell'ordine, a vedere la scena del crimine, ma non dovrebbero essere lì, non entrambi almeno: Costa, infatti, giunto alla Questura da pochi mesi (è un ex capo del Sisde) dichiara egli stesso di ricoprire il ruolo di responsabile della centrale operativa che ha ricevuto la chiamata. Fatto strano, visto che il responsabile di una centrale operativa coordina le forze impiegate nella fase iniziale di un'indagine ma non si reca certo sul luogo del delitto; ancora più strano, poi, se si pensa che Costa è un vecchio conoscente di Salvatore Volponi.
Qui si chiude la prima giornata del "giallo di via Poma" , qui si apre il resto della vicenda che riempì le pagine dei quotidiani fino alla fine di quell' estate calda (e ad alterne vicende fino ai giorni nostri): il primo sospettato dell'atroce delitto è il portiere dello stabile, tale Pietrino Vanacore, che sarà anche l'unico a finire in carcere in quindici anni di misteri. Vanacore aveva le chiavi dell'appartamento, il suo alibi è contraddittorio, si mormora che sia innamorato di Simonetta e sui suoi pantaloni vengono ritrovate due piccole macchie di sangue. Gli investigatori, guidati dal Questore Umberto Improta, fanno due più due ed il 10 agosto arrestano Vanacore; l'uomo verrà scarcerato ventisei giorni dopo, perché nel frattempo le analisi sui pantaloni hanno rivelato che il sangue è suo. Gli inquirenti sono di nuovo al punto di partenza, ma con un mese di ritardo: così l'assassino ha preso vantaggio, ha avuto il tempo di far sparire definitivamente i vestiti di Simonetta ed ogni altra traccia che possa condurre a lui, di crearsi un alibi convincente (ammesso che il vero colpevole sia mai stato interrogato). Ed infatti le indagini si bloccano, lasciando irrisolti molti dubbi: che cosa significa quello strano appunto che è stato ritrovato nell'ufficio? E' un foglio su cui è disegnato un pupazzetto e accanto tre parole all'apparenza incomprensibili "Ce dead ok" : l'ha scritto Simonetta o l'ha lasciato il suo carnefice? Perché non è mai stata effettuata una perizia calligrafica? E poi: la Cesaroni stava lavorando al computer ed è certo che alle 1730 di quel giorno ha telefonato ad una sua collega per chiederle una password di accesso ad alcuni [file]s. Che cosa contenevano quei documenti? Durante le indagini si scoprì che gli ostelli della gioventù gestiti dall'associazione erano al centro dell'attenzione dei servizi segreti… Ma chi scrive ritiene molto improbabile che, seppure quella telefonata fece scattare un campanello di allarme per delle informazioni che non dovevano essere svelate, qualcuno abbia potuto, in solo un'ora (l'autopsia ha stabilito che la morte è avvenuta non oltre le 1830), raggiungere l'appartamento senza essere visto da nessuno, lottare con Simonetta ed ucciderla. Soprattutto, dopo, scomparire nel nulla senza lasciare traccia, anche stavolta non visto.
Il giallo si rimette in moto un anno e mezzo più tardi, l'11 Marzo 1992, carburante le dichiarazioni di tale Roland Voller, commerciante austriaco, presunto informatore della polizia e sospettato di collusioni con i servizi segreti. Voller accusa Federico Valle, ventenne, figlio dell'avvocato Raniero e nipote dell'architetto Cesare, entrambi residenti nello stabile di via Poma: Federico avrebbe ucciso Simonetta perché la riteneva l'amante del padre, con la complicità del portiere (di nuovo) che gli avrebbe fatto avere le chiavi e aiutato a ripulire l'appartamento, poi sarebbe rientrato a casa del padre senza essere notato. La storia non regge: la relazione tra la Cesaroni e Raniero Valle viene subito smentita, la ferita che Federico ha sul braccio non può essere provocata da un'arma da taglio, inoltre il ragazzo ha un alibi, così il 16 Marzo 1993 il Giudice Antonio Cappiello emette sentenza di proscioglimento sulla base esclusiva delle prove scientifiche, negative per Valle come lo erano state a suo tempo per Vanacore. Voller dichiara di esser venuto a conoscenza dei dettagli della vicenda dalla madre del Valle, conosciuta per caso in seguito ad un numero di telefono sbagliato: considerato che la storia sembra alquanto improbabile, è ovvio che l'uomo è stato spinto da qualcuno (da chi?) ad accusare Federico Valle per sviare le indagini. Era necessario portare su una pista sterile gli investigatori, che magari stavano seguendo quella giusta: ma qual'era quella giusta? Perché, una volta appurato che il Voller mentiva, questa pista non è stata ripresa?
A tutti questi interrogativi rimasti irrisolti si sta tentando di dare una risposta nel terzo (e si spera ultimo) capitolo di questo romanzo di morte: le indagini riprendono il via nel 2004 da due punti differenti, e cioè le nuove dichiarazioni di Salvatore Volponi ed il ritrovamento di alcuni reperti tuttora all'analisi del Ris. Volponi, infatti, pubblica un libro dal titolo "Io, via Poma e…Simonetta, tutta la verità", nel quale sostiene che la ragazza, da poco tempo, aveva un nuovo amore del quale nemmeno la famiglia era a conoscenza. Lui, invece, lo aveva saputo dalla nipote, amica di Simonetta; chi è quest'uomo? E' il misterioso Death conosciuto tramite il Videotel, che rivendicò in rete l'omicidio ventiquattr'ore dopo? O è qualcuno che la ragazza aveva conosciuto proprio nel palazzo, in uno di quei due pomeriggi a settimana di straordinari a via Poma? A queste domande, poste dal pm della procura di Roma Roberto Cavallone, Volponi non ha saputo rispondere. Le indagini che hanno invece chiamato in causa il Ris sono quelle sui reperti analizzati in modo sommario nel 1990 o addirittura nuovi, prima fra tutte la traccia di sangue rinvenuta sul lavatoio all'ultimo piano del palazzo. Potrebbe essere di Simonetta, e dimostrerebbe in modo incontrovertibile che l'assassino si è lavato lì, prima di fuggire, seguendo un percorso che attraverso i solai ed il terrazzo permette di uscire sulla strada senza dover passare per l'androne principale (il che spiegherebbe perché nessuno lo ha visto uscire ma non perché nessuno lo ha visto entrare, e quindi si torna all'ipotesi di un colpevole interno al condominio). Ma potrebbe anche essere sangue misto, quello della ragazza mescolato a quello del suo omicida, e allora lì si avrebbe una risposta certa e definitiva. Anche in questo caso, comunque, non mancano in punti oscuri: come è stata trovata quella macchia? Perché nessun investigatore, quindici anni fa, si spinse fino al lavatoio alla ricerca di indizi? A disposizione degli uomini del reparto scientifico, inoltre, ci sono anche gli indumenti indossati da Simonetta, spariti dal repertorio delle prove e poi ricomparsi, sicuramente inquinati, l'anta di una libreria ed una cornice macchiata di sangue,una tazzina, un bicchiere ed un mozzicone di sigaretta. Le indagini scientifiche, come confermano dal Ris, sono lunghe e complesse, anche in virtù del fatto che si tratta di reperti molto vecchi e non conservati come si dovrebbe. Ma sono anche l'ultima speranza che ha una famiglia distrutta di capire, dopo troppi anni, chi e perché ha ucciso in quel modo una ragazza così giovane: non ci sono più rivelazioni degne di nota, non ci sono moventi che meritino questo nome, non ci sono testimoni o scoperte che possano far leggere i documenti processuali con un paio di occhiali diversi. C'è solo quella traccia di sangue, poi, con ogni probabilità, calerà il sipario anche su questa replica del dramma di via Poma.