Ancora una volta la corte d'assise d'appello di Roma ritiene che Giovanni Scattone, con la complicità di Salvatore Ferraro e Francesco Liparota, sia il responsabile della morte di Marta Russo, la studentessa di 19 anni uccisa da un colpo di pistola alla testa la mattina del 9 maggio 1997 mentre passeggiava in un vialetto dell'università «La Sapienza». Al reato principale è stato aggiunto, così come nelle due precedenti condanne, l'aggravante della detenzione illegale di arma. Il processo d'appello bis ha anche interdetto per sempre Scattone dai pubblici uffici: interdizione che per Ferraro è di cinque anni. La corte ha sostanzialmente accolto l'impianto accusatorio del pm Antonio Marini, che ha dichiarato:«Non ci sono dubbi: gli assassini di Marta Russo sono loro. I giudici ci hanno dato ragione. Pur essendo state diminuite le pene non le hanno comunque ridotte in maniera tale da determinare la sospensione condizionale della pena. Dunque sul punto della responsabilità sono state accolte completamente le richieste della procura generale e questo ci soddisfa in pieno». Ferraro si dice «amareggiato, incredulo» e perfino «schifato» dalla sentenza. Invece i genitori di Marta dicono: «Scattone e Ferraro sono colpevoli lo hanno scritto ben tre corti, e cioè 18 giurati e 6 magistrati con la decisione di oggi credo di più nella giustizia, perché oggi è stata riaffermata la verità». Scattone ha dichiarato: «La cosa non finisce qui. Mi sembra impossibile che la Cassazione permetta una condanna per omicidio in base a semplici indizi». Il papà di Giovanni è «indignato». Si sentono parole finora mai pronunciate in pubblico. «E' chiaro che c’è, nella vicenda, qualcosa di extragiudiziario che impedisce l’affermazione della verità. C’è un trucco alla radice. Prima o poi verrà fuori». Il pubblico ministero Carlo Lasperanza, che ha condotto l’inchiesta e sostenuto l’accusa nel dibattimento di primo grado, ha detto: «Come cittadino sono contento per i genitori di Marta Russo, perché hanno avuto giustizia. Come magistrato resto sereno, perché nella mia carriera non ho mai avuto interesse particolare agli esiti dei processi, oltre a quello richiesto come dovere del mio ufficio». Poi Lasperanza ha aggiunto: «Come pm posso dire di essere soddisfatto che la Corte abbia acquisito la cosiddetta "cassetta-choc", perché ancora una volta in questo modo è stato dimostrato che tutto si era svolto nella perfetta legalità, come già avevano detto la Corte di assise di Roma e il Tribunale di Perugia».