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Il mistero del "mostro di Firenze", il killer maniacale (o i killer) delle coppiette, appare, a distanza di tanti anni, sempre più oscuro e contorto. Il settimanale "Panorama" ha annunciato clamorosi sviluppi su questa infernale catena di delitti, chiamando in causa il magistrato Pier Luigi Vigna. Un testimone lo accuserebbe di aver trattato una sorta di copertura con la "banda dei sardi", implicata nelle indagini sul "mostro" dal 1982. Un racconto credibile o l'ennesimo polverone? Secondo questo testimone segreto Giuseppe Barrui - oltre a essere implicato direttamente nei due duplici omicidi del 1981 - nel 1992 avrebbe messo il proiettile nell'orto di Pietro Pacciani per incastrarlo. Giuseppe Barrui è morto a Pisa tre anni fa, nel 1998. E’ stata raccolta la testimonianza di Giovanni Calamosca, che vive in località Caburaccia, nell'Appennino Tosco Emiliano. Quest'uomo conosce bene la "banda dei sardi". Nel 1997 raccontò a Michele Giuttari, capo della squadra mobile fiorentina, che Francesco Vinci, trovato carbonizzato nel 1993 nella sua auto insieme al pastore Angelo Vargiu, gli aveva confessato di aver ucciso a Signa nel 1968 Barbara Locci e Angelo Lo Bianco con la Beretta calibro 22 che sarebbe poi passata di mano. Con questa pistola sono stati compiuti i sette duplici omicidi del "mostro". Calamosca, finito in carcere negli anni Ottanta per sequestro di persona, fu anche sospettato di essere proprio lui il "Mostro di Firenze". Di seguito, il testo integrale dell'intervista. E’ ormai diventato quasi un luogo comune: di mostruoso a Firenze, dal 1968 ad oggi, non ci sono stati solo i delitti del mostro (o dei mostri come ha fin qui stabilito la giustizia). Se possibile ancora più mostruoso è stato il modo in cui sono state condotte le inchieste sugli otto duplici omicidi che si sono succeduti in un arco di tempo compreso tra il 1968 e il 1985. Con il risultato che ancora oggi è difficile trovare qualcuno in Italia che creda davvero che il caso del "mostro di Firenze" sia un caso risolto. Nei documenti che pubblichiamo qui sotto cerchiamo di spiegare cosa è successo attorno a Firenze in otto notti di novilunio. Ma soprattutto cosa è accaduto a investigatori e magistrati che del sangue innocente - che in quelle otto notti fu versato - furono chiamati ad occuparsi. Questa, in dettaglio, l'impressionante serie di delitti:

21 Agosto 1968: L'omicidio di Antonio Lo Bianco e Barbara Locci.
La notte del 21 Agosto 1968, all'interno di una Alfa Romeo Giulietta bianca posteggiata presso una strada sterrata vicino al cimitero di Signa, vengono assassinati Antonio Lo Bianco, muratore siciliano di 29 anni, sposato e padre di tre figli e Barbara Locci, casalinga di 32 anni, di origini sarde. I due erano amanti, la donna era sposata con Stefano Mele, un manovale sardo emigrato in Toscana alcuni anni prima. Al momento dell'aggressione i due sono intenti in preliminari amorosi. Sul sedile posteriore dorme Natalino Mele, di 6 anni, figlio di Barbara Locci e Stefano Mele. L'assassino si avvicina all'auto ferma ed esplode complessivamente otto colpi da distanza ravvicinata, quattro colpiscono la donna e quattro l'uomo, la morte sopravverrà per le emorragie seguenti alle ferite inferte. Verranno repertati otto bossoli di cartucce calibro 22 Long Rifle Winchester serie H (ad indicare la lettera punzonata sul fondo dei bossoli). Natalino Mele si risveglia al primo colpo esploso, ma non sarà mai in grado di asserire con certezza di aver visto chi aveva in mano la pistola. Qualcuno lo caricherà in spalle subito dopo il delitto e lo condurrà attraverso la campagna, cantandogli "La tramontana", una canzone molto di moda quell'estate, fino a lasciarlo in via Vingone, a due chilometri di distanza, davanti ad un casolare nel comune di Campi Bisenzio. Il padrone di casa viene svegliato attorno alle due di notte dal bambino che gli dirà: "aprimi la porta che ho sonno e ho il babbo malato a letto. Dopo mi accompagni a casa, perché c'è la mi' mamma e lo zio che sono morti in macchina". Le indagini conducono inesorabilmente al marito della donna, Stefano Mele, 49enne manovale originario di Cagliari, che si sospetta possa aver commesso il delitto per gelosia. Questo elemento è tuttavia reso poco plausibile dal fatto che lo stesso Stefano Mele aveva più volte in passato esternato un temperamento decisamente succube, a esempio ospitando in casa sua per diverso tempo Salvatore Vinci, suo amico e amante della moglie, Barbara Locci, che peraltro non era nuova a comportamenti promiscui, al punto di venir soprannominata in paese "l'ape regina". Inoltre una perizia psichiatrica accerterà che l'uomo è affetto da ritardo mentale, tanto che in sede processuale gli sarà riconosciuta la seminfermità di mente. In ogni modo Stefano Mele, dopo aver dapprima negato, poi coinvolto altre persone, ammette e confessa di aver commesso il delitto; viene condannato a 16 anni di carcere. Resta tuttavia il mistero della pistola, la Beretta calibro 22 Long Rifle che Stefano Mele dichiara di aver "gettato via" dopo aver commesso il delitto, ma che non viene trovata dai carabinieri nelle zone circostanti al luogo del delitto.

14 Settembre 1974: L'omicidio di Pasquale Gentilcore e Stefania Pettini.
Il 15 Settembre 1974 ha luogo il secondo duplice omicidio di apparente natura maniacale; Pasquale Gentilcore di 19 anni e Stefania Pettini di 18 vengono uccisi in uno spiazzo presso il fiume Sieve a Sagginale di Borgo San Lorenzo. La coppia aveva fatto tappa presso la discoteca "Teen Club" qualche momento prima di appartarsi a bordo della Fiat 127 blu del ragazzo. Pasquale Gentilcore, seduto al posto di guida, viene raggiunto da cinque colpi esplosi da una Beretta calibro 22 Long Rifle, la stessa utilizzata nel delitto del 1968; i colpi mortali arrivano dal lato sinistro della 127. La ragazza viene raggiunta da tre colpi che tuttavia non la uccidono; viene trascinata fuori dall'auto ancora viva, e uccisa a coltellate (l'autopsia permetterà di contarne ben 97). Successivamente l'omicida penetra la vagina della ragazza con un tralcio di vite; particolare questo che, anni dopo, farà pensare ad un possibile movente esoterico, ma che può anche essere interpretato come un segno di sfregio da parte dell'assassino; considerato che il luogo del delitto era posto in prossimità di alcune piante di vite, è comunque possibile ipotizzare che il gesto non fosse premeditato. Prima di lasciare il luogo l'omicida colpisce con il coltello anche il corpo esanime di Pasquale. In occasione di questo delitto, scoperto la mattina seguente da un contadino che abitava e lavorava da quelle parti, vengono ritrovati, sparsi sul terreno, gli oggetti contenuti nella borsetta della ragazza. La borsa verrà invece ritrovata in un luogo poco distante in seguito ad una telefonata anonima. Pare che, il pomeriggio prima di essere uccisa, Stefania avesse confidato ad un'amica di aver fatto uno "strano incontro" con una persona poco piacevole. In ogni caso la ragazza non fu la sola, tra le vittime del maniaco, ad aver lamentato molestie da parte di qualcuno. Qualche anno dopo i quotidiani tornarono a parlare del caso dopo che la tomba di Stefania (sepolta assieme al fidanzato, nel cimitero di Borgo San Lorenzo) fu manomessa e danneggiata da ignoti.

6 Giugno 1981: L'omicidio di Giovanni Foggi e Carmela Di Nuccio.
Il terzo dei duplici omicidi viene commesso il 7 Giugno nei pressi di Mosciano di Scandicci. Le vittime sono Giovanni Foggi, 30enne e la sua ragazza, Carmela De Nuccio, di 21 anni. I due erano fidanzati da pochi mesi e programmavano di sposarsi nell'immediato futuro. La sera del delitto, un sabato, i due cenano a casa dei genitori di Carmela, poi escono per una passeggiata e si appartano con l'auto, una Fiat Ritmo color rame, in una stradina sterrata, sulle colline di Roveta, non lontano dalla discoteca "Anastasia", in una zona frequentata da coppiette e da guardoni. Giovanni viene raggiunto da cinque colpi di pistola esplosi attraverso il finestrino anteriore sinistro della vettura. Altri tre proiettili colpiscono Carmela; i tre bossoli non verranno tuttavia rinvenuti dalle forze dell'ordine. La ragazza viene tirata fuori dalla macchina e trascinata in un fosso poco distante, dove le verranno recisi i jeans e, per mezzo di tre precisi fendenti, le verrà asportato il pube. Anche in quest'occasione l'omicida, presumibilmente prima di lasciare il luogo del delitto, colpisce con il coltello il corpo esanime del ragazzo. I corpi dei due giovani saranno rinvenuti il mattino dopo. L'uomo è ancora a bordo dell'auto, come nel delitto del 1974. Anche in occasione di questo delitto le armi usate sono la Beretta 22 e il coltello, e anche in questa occasione si verifica accanimento sui cadaveri, soprattutto su quello della donna. Inoltre la borsetta della ragazza viene rinvenuta poco distante, rovesciata in terra come nel delitto avvenuto sette anni prima.

22 Ottobre 1981: L'omicidio di Stefano Baldi e Susanna Cambi.
Il 22 Ottobre 1981, a soli quattro mesi di distanza dal precedente omicidio, a Travalle di Calenzano vicino a Prato, in località "Le Bartoline", lungo una strada sterrata che attraversa un campo, a poca distanza da un casolare abbandonato, vengono uccisi Stefano Baldi di 26 anni, operaio tessile di Calenzano e Susanna Cambi commessa di 24 anni, sorpresi durante i preliminari amorosi all'interno di una Golf nera. La ragazza viene raggiunta e uccisa da cinque colpi, il ragazzo viene invece colpito quattro volte. I proiettili sono marca Winchester serie H, sparati dalla stessa Beretta calibro 22. In seguito verranno repertati solo 7 bossoli dei 9 complessivi che si sarebbero dovuti rinvenire. In questo caso l'omicida, per raggiungere la ragazza e compiere l'escissione delle parti intime, è costretto ad estrarre dall'auto anche il corpo di Stefano. Il corpo della ragazza verrà trovato ad una decina di metri dall'auto, in un piccolo canale, con la maglia sollevata fino al collo. Il seno sinistro presenta gravi ferite inferte con arma bianca. Anche in questo caso verranno ritrovati gli oggetti contenuti nella borsetta della vittima femminile, sparsi nelle zone circostanti il luogo del delitto. Anche il corpo di Stefano Cambi presenta ferite da arma da taglio, almeno quattro di cui tre alla schiena. Questo duplice omicidio è l'unico della serie a non essere stato commesso nel periodo estivo; molti hanno quindi avanzato l'ipotesi che sia stato commesso con la deliberata finalità di provocare la seguente scarcerazione di Vincenzo Spalletti, e nel contempo di comunicare che il colpevole era ancora libero. Il giorno successivo al delitto, prima del rinvenimento dei corpi, un uomo telefonò alla zia di Susanna (un indirizzo che quasi nessuno, nemmeno tra gli amici della giovane conosceva, perché provvisorio) chiedendo di parlare con la madre della giovane. A causa di un guasto sulla linea tuttavia, la comunicazione venne interrotta subito. Si tratta di un particolare decisamente misterioso, considerato che il numero di telefono, appartenete a un indirizzo nuovo, era provvisorio e quindi nessuno avrebbe dovuto conoscerlo. Secondo quando sostenuto dall'avvocato Nino Filastò, inoltre, poco prima del delitto Susanna Cambi avrebbe fatto capire alla madre di essere pedinata da qualcuno.

19 Giugno 1982: L'omicidio di Paolo Mainardi e Antonella Migliorini.
La notte del 19 Giugno 1982, a Baccaiano di Montespertoli vengono uccisi Paolo Mainardi, operaio di 22 anni, e Antonella Migliorini di 19. I due giovani - soprannominati dagli amici "Vinavil" perché inseparabili - erano appartati a bordo di una piccola Seat 127, in uno slargo presente sulla strada Virginio Nuova, poco trafficata considerata l'ora tarda. L'assassino sopraggiunge favorito dall'oscurità ed esplode alcuni colpi verso la coppia; Paolo viene solo ferito e riesce a mettere in moto l'auto ed inserire la retromarcia. Probabilmente a causa della concitazione del momento Paolo non è in grado di controllare l'auto che attraversa trasversalmente la strada e resta poi incastrata nella proda sul lato opposto. A questo punto l'assassino spara contro i fari anteriori dell'auto e colpisce a morte i due giovani. Secondo la versione tuttora condivisa dai più e ammessa al processo, l'assassino in seguito sfilerà le chiavi dal quadro d'accensione della vettura e le getterà lontano, presumibilmente in segno di spregio. Questo delitto si differenzia dai precedenti per almeno due motivi; innanzitutto il luogo in cui avviene l'aggressione non è appartato; a pochi chilometri di distanza, nel paese di Cerbaia è in corso la festa del Santo patrono, dove si sono diretti alcuni amici della coppia. In secondo luogo l'omicida, per la prima volta, non esegue le escissioni dei feticci e non ha il tempo materiale per infierire sui cadaveri, probabilmente a causa dei rischi che questa operazione avrebbe comportato, considerato che la macchina era visibilmente disposta in modo innaturale sulla strada. Il delitto sarà infatti scoperto pochissimo dopo da una vettura sopraggiunta nel frattempo. Antonella è morta, Paolo respira ancora e viene immediatamente trasportato al vicino ospedale di Empoli, dove muore il mattino seguente senza riprendere coscienza. Sul luogo del delitto verranno repertati 9 nove bossoli di calibro 22 Winchester serie H. In quest'occasione, il giudice Silvia della Monica, sperando di indurre il mostro a scoprirsi, convocò in Procura i cronisti che si occupavano del caso e chiese loro di scrivere sui giornali che Paolo Mainardi, prima di morire, aveva rivelato importanti informazioni utili alla ricostruzione dell'identità dell'omicida. Sarà inoltre a seguito di questo delitto, che il maresciallo Fiori, 15 anni prima in servizio a Signa, ricorderà del delitto avvenuto nell'estate del 1968, e permetterà la riapertura del fascicolo, in cui verranno ritrovati i bossoli repertati quell'anno; sarà così possibile comparare i bossoli e stabilire che a sparare nel 1968 era stata la stessa arma utilizzata nel 1982. Anche questo evento non è privo di dettagli inconsueti, in quando per legge gli elementi raccolti nel corso di un processo devono essere distrutti a sentenza avvenuta, cosa che non si è verificata con i bossoli repertati a Signa nel 1968.

10 Settembre 1983: L'omicidio di Horst Wilhelm Meyer e Jens-Uwe Rüsch.
Il 10 Settembre 1983 a Giogoli di Scandicci, in un furgone fermo per la notte in uno spiazzo, vengono assassinati due turisti tedeschi, Uwe Jens Rusch e Horst Meyer, entrambi di 24 anni, che al momento dell'aggressione stavano dormendo a bordo del loro furgone Volkswagen Samba. I ragazzi vengono raggiunti e uccisi da sette proiettili sparati con estrema precisione attraverso la carrozzeria del furgone, di cui però saranno repertati solo 4 bossoli Winchester. Le indagini successive al delitto permetteranno di stabilire che i colpi sono stati sparati all'incirca da un'altezza di 1 metro e 30 centimetri da terra - il che fa supporre che l'assassino sia alto almeno 1 metro e 80 centimetri o anche di più. L'omicida, dopo aver ucciso i due ragazzi si introduce nell'abitacolo del furgone e si rende conto di aver assassinato due persone di sesso maschile; probabilmente indotto in errore dall'oscurità, e dal fatto che Uwe Rusch aveva una corporatura esile e lughi capelli biondi. Non si è mai accertato se i due giovani fossero amanti omosessuali, ma nei pressi del furgone vennero ritrovare delle riviste "a contenuto omosessuale" stracciate. I soldi e gli oggetti personali dei due sfortunati ragazzi non vengono presumibilmente sottratti.

29 Luglio 1984: L'omicidio di Claudio Stefanacci e Pia Rontini.
Le vittime del penultimo delitto del Mostro di Firenze sono Claudio Stefanacci, commerciante di 21 anni e Pia Rontini di 18 anni, da poco tempo impiegata come barista presso il bar della stazione di Vicchio nel Mugello. L'auto è parcheggiata in fondo ad una strada sterrata che si diparte dalla provinciale sagginalese, contro il terrapieno di una collina. Quando vengono aggrediti i due ragazzi sono seminudi, sul sedile posteriore della Fiat Panda di proprietà del ragazzo. L'omicida spara attraverso il vetro della portiera destra, colpendo Pia in pieno volto e uccidendola sul colpo. Viene colpito alla testa anche il fidanzato. In seguito l'assassino inferisce con diverse coltellate sui corpi dei due ragazzi - colpendo due volte alla gola Pia e una decina di volte Claudio. Pia viene trascinata, già morta, fuori dalla vettura, in un vicino campo di erba medica, dove le vengono asportati il pube e il seno sinistro. La ragazza verrà ritrovata con il proprio reggiseno ancora serrato tra le dita della mano destra. I carabinieri verranno avvertiti da una telefonata anonima giunta prima dell'alba. Anche in questo caso pare che la vittima femminile avesse subito molestie da parte di ignoti nei giorni precedenti al delitto. Un'amica di Pia, da questa conosciuta durante un soggiorno in Danimarca e che in seguito aveva intrattenuto con lei relazioni di corrispondenza, riferì tempo dopo di aver ricevuto dalla ragazza una lettera in cui Pia le parlava di un uomo che la infastidiva presso il bar in cui era assunta. Tale fatto sembra peraltro avvalorato da un riscontro raccolto in una fase successiva al delitto; il gestore di una tavola calda in località San Piero a Sieve aveva dichiarato di riconoscere nei due fidanzatini uccisi, una coppia che nel pomeriggio del 29 Luglio 1984, poche ore prima dell'omicidio, si era fermata presso il suo locale. Subito dopo di loro, secondo il teste, era arrivato un "signore distinto", in giacca e cravatta, che aveva ordinato una birra e si era seduto all'esterno del locale, senza staccare gli occhi dalla ragazza. Non appena i giovani avevano terminato di mangiare e si erano avvicinati alla cassa, l'uomo aveva bevuto d'un fiato la birra e si era accodato a loro.

8 Settembre 1985: L'omicidio di Jean Michel Kraveichvilj e Nadine Mauriot.
L'ultimo duplice delitto avviene nella campagna di San Casciano Val di Pesa in frazione Scopeti, all'interno di una piazzola attorniata da cipressi, in cui erano solite appartarsi le giovani coppie. Le vittime sono due giovani francesi, Jean-Michel Kraveichvilj, musicista venticinquenne, e la trentaseienne Nadine Mauriot, commerciante, madre di due bambine piccole, recentemente separata dal marito, entrambi provenienti da Audincourt. Le vittime sono accampate in una piccola tenda canadese a poca distanza dalla strada. L'omicidio è stato fatto risalire alla notte di Domenica 8 Settembre 1985, o quantomeno questa è la data ammessa al Processo a carico dei Compagni di Merende, e tutt'oggi considerata la data del delitto. Tuttavia i due turisti potrebbero essere stati uccisi precedentemente, nella notte tra Sabato e Domenica, come i rilievi tanatologici - fatti eseguire dall'avvocato Nino Filastò al professor Maurri, uno dei massimi esperti del campo - sembrano suggerire. Le modalità dell'aggressione sono simili a quelle precedentemente messe in pratica dall'omicida, eccettuato il fatto che in questo caso le vittime non si trovavano in auto: il mostro - dopo aver reciso con un coltello il telo esterno della tenda, sulla parte posteriore, si sposta verso l'ingresso della tenda e spara. Nadine muore all'istante, il giovane Jean-Michel, ferito non mortalmente, riesce a fuggire attraverso il bosco ma viene raggiunto dall'omicida, che lo finisce a coltellate e poi ne occulta il corpo cercando di nasconderlo in una pila di rifiuti poco distante dalla tenda. In seguito alle escissioni compiute sul pube e sul seno sinistro, anche il cadavere della donna viene in qualche modo occultato; l'omicida infatti si cura di sistemarlo all'interno della tenda in modo che non sia visibile. In linea generale il modus operandi particolare attuato dall'omicida in quest'ultimo delitto, lascia presupporre che l'assassino avesse l'intento di ritardare la scoperta dei corpi. Infatti un brandello del seno della ragazza viene spedito alla Procura della Repubblica di Firenze, in una busta con l'indirizzo composto da lettere di giornali ritagliate, indirizzato alla dottoressa Silvia Della Monica, PM incaricato delle indagini sul mostro. La scoperta dei corpi avverrà, per puro caso, poche ore prima che la lettera giunga in Procura, vanificando così il macabro piano dell'omicida. Dopo tutti questi anni gli orrendi crimini sopra descritti non sono ancora risolti.

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