Pietro Maso, una sera di mezzo Aprile del 1991 all'età di 20 anni con altri tre amici (Giorgio Carbognin, Paolo Cavazza e l'allora minorenne D.B.) è nel buio della cucina di casa sua ad aspettare che i genitori salgano le scale e entrino dalla porta, stringendo nelle mani bastoni, padelle e un tubo innocente. Quando si accende la luce, in quella villetta a Montecchia di Crosara, è il segnale che dà il via al massacro. Una mattanza che dura 53 minuti. Pietro e i suoi amici pensavano che ammazzare fosse facile, come nei film. Che bastasse un colpo e fosse tutto finito. Che il giorno dopo fosse facile, andare in banca e chiudere il conto corrente dei genitori prelevando tutto il denaro disponibile per far la bella vita a base di auto nuove e serate in discoteca. Il film è andato diversamente. Come tutti sanno è finito con il carcere e la condanna a 30 anni confermati fino all'ultimo grado di giudizio. Ma quelle terribili sequenze da allora affollano la mente di Pietro Maso. Spezzoni di memoria che affiorano ed, evidentemente, lacerano la coscienza. Segnando un "cammino di ripensamento" che da un lato suscita le attenzioni di giornali e settimanali, d'altro canto apre spiragli all'azione dei difensori (Maso potrebbe anche uscire dal carcere di Opera, a Milano, dove attualmente si trova per essere affidato a qualche comunità di recupero e godere del regime di semilibertà). Non mancano comunque reazioni che viaggiano tra lo stupore, l'incredibilità e la perplessità sul pentimento e la conversione. Le sue mani, lavate dal sangue, ora si muovono sui tasti del computer dove mette a frutto le lezioni di informatica e di contabilità aziendale; le dita che hanno stretto il bastone, ora muovono pennelli e stringono i tubetti dei colori ad olio, oppure impugnando la penna con la quale Maso scrive poesie, pubblicate in questi giorni anche dal settimanale dei paolini «Famiglia Cristiana», in cui il giovane di Montecchia di Crosara che uccise i genitori invoca ora il perdono. Anche Nautilus pubblica parti inedite di una lettera inviataci da Pietro Maso, un documento che testimonia la sua «volontà di riparare, almeno in parte il male fatto». Una traccia, accompagnata dalla testimonianza di fra' Beppe Prioli, il quale parla di un «lungo, difficile percorso di redenzione». Dove, tra le pieghe della coscienza emergono allucinanti particolari prima rimossi. Dove la ricerca di spiegazioni s'incaglia negli angoli bui del cervello.
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