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Milano, 16 luglio 2004, muore Michele Profeta

Il serial killer Michele Profeta è stato stroncato da un infarto mentre sosteneva il suo primo esame universitario. Stava scontando l'ergastolo a Voghera (Pavia) e oggi era stato portato nella sala avvocati del carcere di San Vittore per dare l'esame di storia della filosofia. "Era emozionatissimo per questa prova", riferisce il suo legale. Si è accasciato mentre rispondeva alle domande della commissione. Profeta era stato condannato al carcere a vita nel 2002. La Corte d'assise di Padova e poi la Cassazione lo avevano riconosciuto colpevole di due omicidi, compiuti tra il gennaio e il febbraio 2001, quello del tassista Pierpaolo Lissandron e quello dell'agente immobiliare Walter Boscolo. Due delitti commessi a distanza di 12 giorni, uno il 29 gennaio e l'altro il 10 febbraio. Un numero, il 12, che è una costante nella "ratio" omicida di Profeta: il 12 gennaio 2001, prima dell'omicidio del tassista, inviò una lettera alla Questura di Milano, con la quale chiedeva 12 miliardi, altrimenti avrebbe commesso omicidi a caso, in qualsiasi città. Dopo l'arresto, avvenuto il 16 febbraio, gli investigatori trovarono nel suo appartamento il revolver Iver Johnson calibro 32 utilizzato per i delitti e le carte da gioco con le quali firmava gli omicidi. Nella sua automobile fu trovato il normografo con il quale erano state scritte le lettere di minaccia. Determinanti per la cattura gli sms con cui Profeta rispondeva, dai suoi dieci cellulari, agli annunci che la Questura pubblicava per comunicare con lui. Nella prima lettera inviata al questore, l'allora "anonimo assassino" aveva dato istruzioni: "Se volete comunicare con me, dovete mettere questo annuncio sui giornali: 'Cercasi tornitore con 12 anni di esperienza'". Un'altra volta il numero 12. Il processo fu segnato da esami del Dna e perizie psichiatriche: Profeta confessò i due delitti, poi ritrattò, infine, durante il dibattimento, ammise di aver ucciso. Secondo la perizia della difesa il movente sarebbe stato una delirio di onnipotenza. Ma la tesi non fu accolta dai giudici padovani, che lo condannarono al carcere a vita. Nel luglio del 2001 aveva anche tentato di evadere dal carcere di Padova: per questo era stato trasferito nel penitenziario di Voghera. Michele Profeta amava il gioco ed era un assiduo frequentatore di casinò. A Venezia lo conoscevano come "il Professore" per l'aspetto sempre distinto. Arrivava al Cà Vendramin la mattina presto e giocava per molto tempo alle slot machine. Quand'era a casa, invece, giocava a carte. Con i "Re" mise l'autografo anche ai suoi omicidi. Parlava poco, e "si faceva i cavoli suoi", come raccontarono i colleghi della finanziaria per cui lavorava. Il gioco, e i debiti che ne erano seguiti, gli avevano già fatto commettere altri reati prima degli omicidi. Sulla sua fedina penale c'erano quattro condanne per emissione di assegni a vuoto e una per truffa. Al momento dell'arresto fu molto freddo. Gli inquirenti si trovarono davanti a un uomo impenetrabile, che continuava a negare ogni responsabilità e non sembrava mai cedere.

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