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La sentenza

Il caso Marta Russo: una condanna definitiva.
(All'indomani della sentenza definitiva sul caso Marta Russo, 16 dicembre 2003, non ci dovrebbero essere molti dubbi. In totale, circa trenta magistrati si sono espressi in merito a questa colpevolezza. In trenta, tra primo grado, appello, cassazione. Una sentenza che si regge su tre testimoni oculari, la confessione di Liparota (confermata dalla madre), un imponente insieme di indizi gravi, precisi e concordanti, a cominciare dai tentativi di trovare alibi che non c'erano, eccetera. Certo, non tutto è chiaro. Per esempio, la Alletto, testimone ritenuta attendibile in tre gradi di giudizio, ha anche detto che nell'aula c'era un quarto uomo, di cui non ha distinto le sembianze. Non sappiamo dunque tutta la verità, ma sappiamo che certamente intimidazioni e omertà ci sono state. Basti pensare a quegli impiegati e docenti che hanno tentato di sbugiardare la Alletto, sostenendo che tante sue dichiarazioni erano del tutto inventate... Evidentemente i magistrati hanno ritenuto la Alletto credibile; dunque hanno riconosciuto l'esistenza di una diffusa omertà, che coinvolge non soltanto Liparota, ma tante altre persone, talmente potenti da creare una diffusa e schiacciante copertura dell'omicidio. Non sono stati condannati soltanto Ferraro e Scattone, ma, in un certo senso, quella parte della università italiana che aveva fatto muro contro la condanna e che era scesa fin nelle aule di tribunale a contrastare i magistrati con insigni professori e avvocati: il prof. avv. Coppi e il prof. avv. Delfino Siracusano. I dubbi sulla condanna definitiva, la volontà di nascondere o minimizzare omertà e intimidazioni che hanno accompagnato il delitto, sono motivati o da ingenuità o da corresponsabilità. Anche se condannati, Scattone, Ferraro, Liparota, il quarto uomo, non hanno perduto la battaglia mediatica. Perché un sistema potente, complesso, ramificato di interessi combatte per insinuare dubbi sulla colpevolezza di una gestione fondata sull'omertà. Quando una giornalista coraggiosa, nella trasmissione televisiva "Un giorno in pretura" ha fatto vedere i momenti più inquietanti del processo, è stata immediatamente redarguita. Rivendicare giustizia per Marta è rivendicare giustizia contro tutte le complicità mafiose, omertose, criminali che esistono nell'università italiana e nella società italiana. Rivendicare giustizia per Marta è rivendicare giustizia per tutte le persone che lavorano onestamente nell'università italiana e nella società italiana. Grazie ai magistrati che hanno avuto il coraggio necessario). Riportiamo anche una sintesi delle notizie apparse (dopo la terza sentenza di condanna) sulla stampa, che in genere ha ospitato commenti di persone che non hanno letto le carte e hanno una informazione sommaria:


6 anni a Scattone per omicidio colposo, 4 a Ferraro e 2 a Liparota per favoreggiamento. E' la sentenza del processo d'appello bis per la morte di Marta Russo: ancora una volta la corte d'assise d'appello di Roma ritiene che Giovanni Scattone, con la complicità di Salvatore Ferraro e Francesco Liparota, sia il responsabile della morte di Marta Russo, la studentessa di 19 anni uccisa da un colpo di pistola alla testa la mattina del 9 maggio 1997 mentre passeggiava in un vialetto dell'università «La Sapienza». Al reato principale è stato aggiunto, così come nelle due precedenti condanne, l'aggravante della detenzione illegale di arma. Il processo d'appello bis ha anche interdetto per sempre Scattone dai pubblici uffici: interdizione che per Ferraro è di cinque anni. La corte ha sostanzialmente accolto l'impianto accusatorio del pm Antonio Marini, che ha dichiarato: «Non ci sono dubbi: gli assassini di Marta Russo sono loro. I giudici ci hanno dato ragione. Pur essendo state diminuite le pene non le hanno comunque ridotte in maniera tale da determinare la sospensione condizionale della pena. Dunque sul punto della responsabilità sono state accolte completamente le richieste della procura generale e questo ci soddisfa in pieno». Ferraro si dice «amareggiato, incredulo» e perfino «schifato» dalla sentenza. Invece i genitori di Marta dicono: «Scattone e Ferraro sono colpevoli lo hanno scritto ben tre corti, e cioè 18 giurati e 6 magistrati con la decisione di oggi credo di più nella giustizia, perché oggi è stata riaffermata la verità». Scattone ha dichiarato: «La cosa non finisce qui. Mi sembra impossibile che la Cassazione permetta una condanna per omicidio in base a semplici indizi». Il papà di Giovanni è «indignato». Si sentono parole finora mai pronunciate in pubblico. «E' chiaro che c’è, nella vicenda, qualcosa di extragiudiziario che impedisce l’affermazione della verità. C’è un trucco alla radice. Prima o poi verrà fuori». Il pubblico ministero Carlo Lasperanza, che ha condotto l’inchiesta e sostenuto l’accusa nel dibattimento di primo grado, ha detto: «Come cittadino sono contento per i genitori di Marta Russo, perché hanno avuto giustizia. Come magistrato resto sereno, perché nella mia carriera non ho mai avuto interesse particolare agli esiti dei processi, oltre a quello richiesto come dovere del mio ufficio». Poi Lasperanza ha aggiunto: «Come pm posso dire di essere soddisfatto che la Corte abbia acquisito la cosiddetta "cassetta-choc", perché ancora una volta in questo modo è stato dimostrato che tutto si era svolto nella perfetta legalità, come già avevano detto la Corte di assise di Roma e il Tribunale di Perugia».

Aureliana Russo, madre di Marta Russo, ha detto: «Questa sentenza ha onorato la memoria di Marta. Faceva il III anno di Giurisprudenza, voleva diventare magistrato. Credeva nella giustizia. Per tirare avanti mi occuperò dell’associazione a suo nome. Era favorevole alla donazione di organi, ne parlava sin da quando aveva 15 anni. E io voglio concretizzare questo suo desiderio». Il padre di Marta, Donato Russo, ha detto: «Ben tre Corti, e cioè 18 giurati e sei magistrati, hanno detto che Scattone e Ferraro sono colpevoli». Si rivolge, poi, agli imputati: «A loro lancio un appello: signori assassini di Marta se domani avrete una famiglia e un figlio o una figlia, vi invito a guardarli negli occhi>>. Gabriella Alletto, la segretaria dell’Istituto di Filosofia del diritto,dopo aver saputo della nuova condanna, ha voluto solo ribadire la sua buonafede. «Ero serena prima della sentenza e lo sono anche adesso. So di aver sempre detto la verità durante il processo». Rompe il silenzio per confermare che la sua vita non è cambiata e che la notte dorme sonni tranquilli. «Non provo sentimenti di soddisfazione per le condanne - aggiunge - ma mi sento serena per aver detto ciò che avevo visto nell’aula 6 la mattina del 9 maggio del ’97: la verità su Ferraro e Scattone. Ho preso la decisione di raccontare tutto ai magistrati - ha sempre spiegato la superteste - quando praticamente non ne potevo fare più a meno. Quando c’è una stretta finale bisogna prendersi delle responsabilità. La decisione che ho dovuto prendere è stata tremenda. Ho sei nipoti dai 19 ai 23 anni e si può immaginare quanto io abbia sofferto. Del resto, io non conoscevo Marta Russo, non era mia parente. Spero soltanto che con quest’ultima sentenza finisca finalmente questa storia, anche se so che, dal punto di vista processuale, mi vedrà sempre coinvolta».


Ha avuto critiche, vita difficile, hanno scavato nel suo passato. Ha dovuto lasciare la facoltà di Giurisprudenza e passare all’Economato. L’aria lì si era fatta troppo pesante. Dopo aver parlato di Scattone e Ferraro, infatti, Gabriella ha tirato in ballo altra gente che lavorava in Istituto. Ha sostenuto che anche loro sapevano. I difensori, però, hanno sempre creduto nell’autenticità del suo racconto e ieri, davanti al nuovo verdetto, hanno dichiarato: «Non vogliamo commentare la sentenza, preferiamo non farlo. La signora Alletto è sempre rimasta serena. In qualche occasione la tensione è stata forte, ma quanto ha raccontato è risultato vero. Rispetto alle condanne non possiamo essere contenti, sono sempre delle condanne per reati gravi. E questo non può fare piacere». I suoi avvocati Mariano Buratti e Pietro Cerasaro, che l’hanno seguita sin dal giorno in cui è stata iscritta sul registro degli indagati, si trovano davanti a un altro problema: l’Università che avrebbe dovuto pagare i loro onorari perché la Alletto ha avuto la necessità di un avvocato per cose avvenute all’interno della Sapienza, ha detto che non vuole pagare. Quanto accaduto non riguarda l’Ateneo - motivano la decisione - ma soltanto la Alletto. Giorgio Tecce che all'epoca dell'omicidio di Marta Russo era rettore dell'università La Sapienza, ha detto: «Sentenza non convincente. Tutte queste sentenze, d'altra parte, mi sembrano contraddittorie tra loro anche se danno per scontato di chi è la mano che ha premuto il grilletto». Il professor Alessandro Figà Talamanca, innocentista, ha dichiarato: «Quante analogie tra il caso Marta Russo e quello di suor Piera, la religiosa misteriosamente ferita da un proiettile a viale Trastevere!».


L’unico che rischierà realmente il carcere è Scattone, ma per un brevissimo periodo o proprio per niente. L’imputato principale (sei anni per omicidio colposo), ne ha già scontati due nel corso del primo processo. Un nuovo anno in cella lo porterebbe a tre anni dalla fine della pena, quando, come tutti i condannati "definitivi", potrebbe chiedere l’affidamento ai servizi sociali, al di là delle sbarre. Ma non è tutto. La buona condotta nel periodo a Regina Coeli, dà all’ex assistente di Filosofia una "dote" di circa 180 giorni da sottrarre dalla pena residua. Risultato: a Scattone basterebbero sei mesi per inoltrare la richiesta al Tribunale di Sorveglianza e tornare libero. Se poi il Parlamento, nel frattempo, avesse varato un indulto, la condanna sarà solo sulla carta: Scattone, con uno sconto minimo (un anno), supererebbe di slancio il limite dei tre anni e non passerebbe un giorno in prigione. Liparota (condanna a 2 anni e due mesi) non rischia nulla. Ha "fatto" sei mesi ai domiciliari: servizi sociali garantiti senza passaggi dal carcere. Stesso discorso per Ferraro. Il nuovo processo lo condanna a 4 anni e sei mesi (pena ridotta). Ferraro tra carcere e "domiciliari" ne ha scontati già due, accumulando, pure lui, diversi mesi per buona condotta. Sasà, quindi, è a meno di tre anni dalla fine della pena. Se e quando la condanna sarà definitiva, potrà chiedere i servizi sociali. Un beneficio che i Tribunali di Sorveglianza, in genere, non negano mai. Luca Petrucci, legale della famiglia Russo ha dichiarato: «Non ci interessa la qualificazione giuridica della pena. Ci interessa che siano stati individuati gli assassini. Dopo tre condanne, possiamo dire che il caso Marta Russo, forse, è stato risolto».

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