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Il dramma di Marta Russo, brillante studentessa universitaria della facoltà romana di Giurisprudenza, si consuma nell’arco di un solo istante: l’istante della sua morte. Nessuna minaccia, nessun pericolo può mettere sull’avviso la sua giovane vita. Basta un proiettile sparato da lontano, mentre lei sta camminando con un amica lungo un vialetto dell’università, perché tutto per lei finisca. Il proiettile le perfora l'encefalo lasciandole un buco molto piccolo sotto l’orecchio sinistro. Sono le 11,35 del 9 Maggio 1997. Scatta l'allarme. In condizioni che appaiono subito disperate, Marta viene trasportata al Policlinico, nel piccolo reparto di traumatologia: vi resterà in coma profondo fino alle 22 del 13 Maggio. Le indagini appaiono subito complesse: unica certezza è che chi ha sparato non voleva colpire lei. Un delitto nel mucchio. La difficile inchiesta viene affidata ad un magistrato di non grande esperienza, il pm Carlo Lasperanza che però ha a disposizione un pool formato da circa 80 investigatori, tra squadra mobile, scientifica e Digos. Le fallimentari inchieste condotte dalla procura di Roma sui delitti dell’Olgiata e di via Poma, dovrebbero consigliare meglio. Spingeranno, invece, la magistratura su piste fasulle. Inizialmente decine di ispezioni, centinaia di rilievi puntano contro i dipendenti della Pul-Tra, una società di pulizie dell'università. In un locale usato da loro sono state, infatti, trovate due vecchie cartucce. La prima ipotesi è che l'assassino abbia sparato dai bagni di scienze politiche, ma la prima sorpresa arriva il 19 Maggio quando, all’improvviso, l’attenzione degli investigatori si accentrano sull’aula 6 dell’istituto di filosofia del diritto. Il 24 Maggio, sul registro degli indagati, ci sono 40 nomi di persone legate all’università. Usciti di scena gli uomini della Pul-tra, è il prof. Bruno Romano, direttore dell'Istituto di Filosofia del diritto, a finire in manette. "Ha coperto l'assassino - sostengono gli inquirenti - ha fatto pressioni su tutti perché non parlassero''. Romano nega. Lo accusano l'assistente, Maria Chiara Lipari, e alcune intercettazioni telefoniche. Lo accusa una testimone: è Gabriella Alletto, 45 anni, segretaria dell’istituto. Romano verrà presto prosciolto da ogni accusa. Non è così per altri due assistenti, Salvatore Ferraro e Giovanni Scattone e per l’uscire Francesco Liparota. I ricordi "subliminali" della Lipari e le confessioni tardive e contraddittorie della Alletto trascineranno tutti e tre prima in carcere e poi davanti ad una corte d’Assise. Per gli investigatori, Scattone è il killer. Ferraro, con lui al momento del delitto, sapeva e ha taciuto. Liparota ha coperto entrambi. Quest’ultimo, dopo il fermo cautelare, ammette, ottiene gli arresti domiciliari e poi ritratta.

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